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Maori

I Maori discendono da popolazioni austronesiane provenienti dal sub-continente asiatico che, grazie ad abili tecniche di navigazione, penetrarono in Melanesia circa 4.000 anni or sono.

La ragione per la quale gli antenati polinesiani dei Maori si sono lanciati a bordo delle loro canoe oceaniche, i waca, per lunghi viaggi colonizzatori resta, almeno in parte, un mistero. Quello che si sa è che la più grande delle loro imbarcazioni poteva trasportare fino a 250 persone oltre alle piante ed agli animali dei quali avrebbero avuto bisogno per iniziare una nuova vita.

Le manifestazioni archeologiche di questa penetrazione in Oceania sono designate come il “Complesso Culturale Lapita”. Fra il 1.600 ed il 1.400 a.C., i portatori della ceramica lapita si diffusero in una regione che comprendeva le Fiji orientali, le Tonga, le Samoa e altre isole di più piccole dimensioni. Questa regione può essere considerata come la patria della cultura polinesiana che qui sviluppò i suoi caratteri peculiari. Infatti, a partire dal 500 a.C., si può archeologicamente distinguere una società polinesiana ancestrale dal precedente complesso culturale lapita.

Da questa zona vennero in seguito popolate le isole Marchesi e della Società, gli arcipelaghi della Polinesia centro-orientale fino a giungere a Rapa Nui (l'isola di Pasqua), alle isole Hawaii e ad Ao-tea-roa (la terra della grande nuvola bianca) cioè la Nuova Zelanda.

L'insediamento umano in Nuova Zelanda risale a circa sette secoli fa, quando gruppi di polinesiani, probabilmente in una serie di ondate successive, vi giunsero tra il 1000 e il 1300 d.C. Nei secoli successivi, essi svilupparono una cultura propria, fino a forgiare l'attuale identità del popolo maori. La popolazione era suddivisa in sottogruppi detti hapu, a volte alleati, a volte in lotta fra loro. In epoca successiva, un nucleo di maori lasciò la Nuova Zelanda alla volta delle isole Chatham, dando così vita ad un'altra nuova cultura nota come "moriori".

La leggenda narra che il navigatore Kupe vi approdò dopo una lunga traversata a vela dall'isola di Hawaiki in Polinesia. Poiché nel momento dell'approdo una gigantesca nube bianca avvolgeva l'intero paese, Kupe chiamò quella terra Aotearoa - la terra della grande nube bianca - che ancora oggi è il nome maori della Nuova Zelanda. Secoli più tardi, quando la carestia colpì l'isola di Hawaiki, molti altri Maori intrapresero la rotta insegnata da Kupe e si stabilirono permanentemente sull'isola.

L'attività bellica e la relativa organizzazione militare hanno contraddistinto in un certo senso la storia e la cultura maori; grazie ad esse tale popolazione riuscì a conquistare gran parte dell'arcipelago e a costruire veri e propri villaggi fortificati.

La società maori tradizionale, ad economia di pesca-caccia-raccolta, seguiva uno schema rigidamente gerarchico ed era suddivisa in ampie famiglie, le whanau, facenti capo ad unità sociali chiamate hapu (clan), guidate dal kaumatua, capo anziano appartenente alle famiglie nobili, le rangatira. Le hapu erano anche il gruppo di proprietà fondiaria primario e l'unico entro il quale il matrimonio era consigliato ed auspicato; esse rappresentavano l'unità territoriale cognatica: un individuo poteva appartenere a tutte le hapu dei suoi antenati, ma aveva la possibilità di risiedere solo in una per volta, cosa che comunque non gli faceva perdere i diritti verso le altre hapu.

Il matrimonio non esisteva ed aveva piena legittimità la famiglia di fatto. La vita comunitaria si esprimeva intorno alle marae, costituite dalla casa del capo, la sala per le riunioni (meeting house) e la piazza centrale. La marae è ancora oggi un luogo giuridico-politico di notevole importanza: all'interno di essa si esplicano, infatti, le attività comunitarie più importanti quali le celebrazioni per le nascite, i matrimoni, le morti, i riti d'iniziazione, i culti, la discussione dei problemi del gruppo sociale, le assemblee dei capi[4]. Le marae fondamentalmente "incarnavano la legittimità dei diritti fondiari esercitati dai gruppi sociali

I primi europei a visitare l'arcipelago furono gli olandesi della spedizione guidata da Abel Tasman nel 1642. Molti membri dell'equipaggio vennero uccisi dai maori e l'esito della spedizione fu tenuto segreto per evitare eventuali insediamenti della rivale Compagnia Inglese delle Indie Orientali. Gli europei non fecero ritorno sulle isole fino all'arrivo dell'esploratore britannico James Cook, che visitò queste terre durante il suo viaggio del 1768-71. Cook sbarcò in Nuova Zelanda nel 1769 e mappò gran parte delle coste. Dopo la spedizione di Cook, molte altre navi europee e americane sbarcarono sulle isole. Gli europei erano soliti commerciare con i nativi, cedendo cibo europeo, armi e utensili in metallo in cambio di acqua fresca e cibo locale. L'introduzione della patata e del moschetto ebbe un notevole impatto sulla società maori. In particolare, l'uso dei moschetti modificò i rapporti di forza tra le varie tribù, portando alle cosiddette "guerre del moschetto". Inoltre, a partire dagli inizi del XIX secolo, diverse missioni cristiane si stabilirono nel paese, convertendo gran parte dei maori.

Preoccupato dalle mire espansionistiche francesi e dal modo disordinato con cui i bianchi stavano colonizzando le nuove terre, il governo britannico decise di inviare in Nuova Zelanda William Hobson, al fine di reclamare la sovranità britannica e stipulare un trattato con i nativi. Fu così che dal 1788 al 1840 la Nuova Zelanda fece formalmente parte del Nuovo Galles del Sud. La vera svolta fu determinata dal Trattato di Waitangi, stipulato nella Baia delle Isole il 6 febbraio 1840. Malgrado le discordie e i dubbi che ancora oggi si hanno sulle versioni in lingua maori e in inglese, tale trattato è considerato l'atto costitutivo della nazione neozelandese nonché una garanzia dei diritti dei maori. In particolare, Hobson scelse inizialmente Okiato come capitale della nuova colonia, per poi trasferirsi ad Auckland nel 1841.

A partire dal 1840 consistenti ondate di coloni europei giunsero in Nuova Zelanda. I maori, inizialmente, si mostrarono desiderosi di commerciare con i bianchi (da loro chiamati pakeha) e, proprio grazie a questo tipo di attività, diverse tribù riuscirono ad arricchirsi. La situazione cominciò però a peggiorare quando, di fronte alla crescita degli insediamenti dei bianchi (stimolata dalla scoperta dell'oro, avvenuta nel 1861), i maori cominciarono a temere di perdere il controllo della loro terra. Tali contrasti portarono alle cosiddette guerre maori, combattute tra gli anni '60 e '70 dell'Ottocento e che causarono ai maori la perdita della gran parte delle loro terre.

Come si orientavano tra gli arcipelaghi

I polinesiani si orientavano in mare grazie ad un complesso sistema di indizi che utilizzava una varietà di segnali e simboli naturali. Erano soliti portare con loro i maiali, i quali dotati di un potente olfatto, avvertivano tenui tracce di profumi “terrestri” nell'aria anche a 40 miglia di distanza da un'isola; osservavano il volo dei grandi uccelli marini, come gli albatros, i quali non si allontanano mai a più di 40 miglia dalla costa; inoltre i polinesiani in viaggio imbarcavano, come i Vichinghi, alcuni uccelli. Gli uccelli venivano liberati ad uno ad uno, e se non ritornavano all'imbarcazione, i piloti prendevano la direzione indicata dal loro volo.

Studiavano le leggere modificazioni delle onde, delle correnti e dei venti, ma anche le nuvole lontane offrivano ai viaggiatori un tenue indizio di terra emersa, poiché le nuvole stazionano più facilmente sugli atolli che non sul mare aperto. La laguna di un atollo, infatti, è più calda del mare aperto, quindi l'aria si riscalda e richiama le nuvole. Una volta avvistata la nuvola, occorreva osservare se aveva sfumature verdastre, questo perché le nuvole riflettono il colore del mare, e l'acqua delle lagune è più verde di quella circostante.

Infine studiavano le posizioni delle stelle. In tutto il Pacifico il cielo veniva rappresentato come una cupola, o come una serie di cupole sovrapposte l'una all'altra. Si assegnavano nomi a stelle e gruppi di stelle specifici e le posizioni ed i moti delle costellazioni maggiori erano ben noti alla maggior parte delle persone. I giovani apprendisti navigatori imparavano però una versione più dettagliata e formale del cielo in speciali “scuole” dirette da maestri piloti che mescolavano la teoria con l'esperienza pratica. Nelle Isole Gilbert, ad esempio, le disposizioni delle travi del tetto negli “edifici di addestramento” rappresentavano le stelle, le costellazioni e le divisioni del cielo.

Questi popoli scoprirono presto che l'altezza della Stella Polare al di sopra dell'orizzonte settentrionale era uguale alla latitudine del luogo in cui ci si trovava. In altre parole, quando la Stella Polare si trovava a 10° al di sopra dell'orizzonte nord, l'osservatore si trovava a 10° di latitudine nord.

Essi imparavano a memoria le posizioni di una varietà di stelle, le quali sono sospese al di sopra alle varie isole. Quando una certa stella passava al di sopra del loro capo, questi comprendevano quale fosse la loro posizione, cioè un osservatore che osserva che una stella particolare passa direttamente al di sopra della sua testa, sa che la sua latitudine è uguale a quella della latitudine celeste della stella. Così, se un pilota vedeva allo zenit Hokule'a (Arturo), sapeva di trovarsi alla latitudine delle Isole Hawaii, mentre se passava direttamente sotto Sirio, sapeva di trovarsi alla stessa latitudine di Tahiti e delle Fiji. Molto più spesso i polinesiani utilizzavano le stelle Fanakenga, le stelle all'orizzonte, che si usavano come bussole per seguire una rotta. I punti di levata e di tramonto indicavano direzioni generali sull'orizzonte.

La mitologia

Nella religione dei Maori, Taaroa (l'intimo dell'essere interiore) rappresenta l'essere supremo, il capostipite di tutte le divinità, il padrone dell'universo ed il suo nome può essere solo sussurrato. Dalla sua unione con Feii-Feii- Maiterai, derivano la notte ed il crepuscolo, la luce del giorno (entità maschile, Rangi) e la terra (entità femminile, Papa).

In seguito regnarono le tenebre perché Rangi, il Cielo, era strettamente unito a Papa, la Terra. I figli, sebbene fossero divenuti molto numerosi, non conoscevano la differenza tra luce e tenebre poiché erano rimasti nascosti nel seno dei propri genitori. Così si consultarono e decisero di separarli, ma nonostante gli sforzi non ci riuscirono finché non provò Tane-mahuta, il dio degli alberi, che facendo puntello fra di loro, sollevò il Cielo sopra la Terra. Così il popolo uscì e divenne visibile.

I figli rappresentano i dodici dei della natura di grado più elevato, noti complessivamente come Atua. Di questi fanno parte Tangaroa, dominatore del mare e dei pesci e capostipite dei capi; Tane-mahuta, il signore dei boschi, degli alberi e degli insetti; Tu, colui che è instabile, signore della guerra; Rongo, il dio della pace e delle piante coltivate; Haumia, signore delle piante selvatiche; Tawhiri, divinità del vento e delle forze della natura. Le divinità locali come Hina, dea della Luna, dell'aria e del mare e Atea, dea dello spazio, costituiscono gli Aku. Taaroa si unì anche con la dea dell'aria Ohina e diede la vita alle nuvole rosse, all'arcobaleno e al chiaro di Luna.

Tutti gli elementi, compreso l'uomo, sono fratelli e quindi possono essere invocati in aiuto. Caratteristico è il rispetto nei confronti di tutto ciò che è considerato tabù (in Maori “tapu”) ovvero dotato di forza misteriosa e sovrumana.

Il tatuaggio

Mentre i tattoo polinesiani venivano usati principalmente per indicare lo status famigliare o sociale, quelli dei Maori assunsero i simboli di un'arte unica e molto
raffinata. Questi costituiscono un insieme artistico di linee e spirali combinate. Con uno strumento simile ad un scalpello i Maori praticavano delle piccole incisioni sulla pelle, che poi riempivano con pigmentazioni colorate. Con questa tecnica i Moko sembravano in rilievo, i solchi "tridimensionali" sulla pelle sembravano più intagli che tatuaggi. Con eccezione degli schiavi tutti gli uomini erano tatuati in viso, e anche in altre parti del corpo. Un viso tatuato elegantemente era motivo di onore e orgoglio per un guerriero, che appariva temibile davanti al nemico e attraente a gli occhi di una donna.

In modo meno minuzioso anche le donne erano tatuate. Le labbra venivano evidenziate e il mento delle volte era tatuato, qualche linea e qualche spirale era presente, appunto, sul mento e sulla fronte. I disegni contenevano una serie di elementi tradizionali, ciascuno con un proprio nome. Questi componenti variavano a seconda del tatuatore e quindi, sotto un attento esame, nessun tatuaggio era uguale ad un altro. Una capacità sorprendente dei capi tribù Maori, e che erano in grado di riprodurre a memoria i tatuaggi che avevano in viso e di usarli per firmare, pur non conoscendo lo specchio !. Queste "firme tribali" sono presenti nei contratti conclusi tra Maori e Inglesi. Per eseguire i tatuaggi i Maori usavano dei piccoli pezzi d'osso, metallo o conchiglia che venivano intinti in un pigmento colorato e quindi infilati nella carne per mezzo di un piccolo martello.


Per riprodurre le linee che caratterizzavano il Moko era neccesario che lo strumento penetrasse profondamente sottopelle. Poteva capitare che il tatuatore dovesse percuotere ripetutamente perchè l'incisione non riusciva in una volta sola: il dolore era intenso, consistenti le perdite di sangue, ma a un guerriero valoroso non era consentito lamentarsi ne tremare durante l'esecuzione del tatuaggio. Il tatuaggio al viso o Ta Moko come anche gli altri tatuaggi veniva eseguito in assoluto silenzio e isolamento da specialisti uomini -Tobungata-moko. Prima di iniziare, il tatuatore studiava le caratteristiche facciali e la conformazione delle ossa della persona da tatuare. I Tobungata-moko non lavoravano solo in una tribù o in un villaggio o in una regione, anche se le loro opere sembrano appartenere a ben determinate e precise regioni preistoriche. Come detto il tatuaggio caratteristico tra i Maori era il moko, ma anche il resto del corpo viene tatuato, con una tecnica diversa, i tatuaggi sul corpo vengono eseguiti secondo modalità tradizionali (così come accadeva anche in Oceania):si usava un utensile a forma di pettine (documenti testimoniano l'uso del rosso e del blu, che affiancano l'uso più comune del nero).