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La donazione di Sutri e il potere temporale della Chiesa

Il ducato romano fu un'istituzione politica e militare bizantina che occupava, nell'Esarcato d'Italia, buona parte dell'odierno Lazio e una zona molto circoscritta dell'Umbria meridionale (Amelia e zone limitrofe). Si estendeva all'incirca da Narni e Viterbo (alto Lazio) fino a Gaeta e Atina.
Le origini del ducato sono sconosciute. Fra le prime testimonianze vi sono una lettera di Gregorio Magno (592) in cui viene menzionato un non ben identificato duca di Roma e, successivamente, una lapide rinvenuta presso Terracina in cui è scolpito il nome di un certo Georgius dux Romae. Il duca era di nomina imperiale, aveva, con ogni probabilità, un incarico di durata triennale e rivestiva le funzioni di capitano delle forze militari nel territorio di sua competenza.

Più ancora della presenza a Roma di un senato decimato e disperso a seguito delle guerre gotiche, fu la figura del pontefice ad impedire ai funzionari imperiali di trasmettere per diritto dinastico il titolo ducale, come invece stava avvenendo altrove (Ducato di Gaeta, ducato di Napoli); anzi accadde spesso che nel Lazio fosse lo stesso esercito bizantino, in caso di carica vacante, ad eleggere il proprio dux. Il Papa, infatti, fin dall'epoca di Gregorio Magno, o ancor prima, era divenuta la massima autorità civile, (oltreché religiosa) di Roma e del suo ducato.

I vari duchi, in qualità di massimi responsabili militari del territorio, restarono sempre esponenti della fazione bizantina, quindi schierati con l'imperatore nei frequenti contenziosi che sorgevano fra il pontefice romano e Costantinopoli. Nel 640 il dux nonché carthularius Maurizio, con l'esarca Isacco, condusse l'assalto contro papa Severino. Troviamo dei duces anche fra i presunti congiurati contro papa Gregorio II.

Con l'elezione quale re dei Longobardi di Liutprando (712), il nuovo sovrano si trovò a fronteggiare una serie di problemi quali la generale disgregazione e perdita di identità nazionale dei sempre più romanizzati Longobardi. Per risolvere questo problema, iniziò una politica di rafforzamento della sua monarchia che aveva innanzitutto come traguardo la conquista dei territori italiani a scapito dei bizantini. Dopo la guerra greco-gotica (combattuta nel 535-553, dall'imperatore bizantino Giustiniano nel tentativo di riconquistare almeno una parte dell'Immpero d'Occidente) restavano ancora infatti nelle mani dell'Imperatore di Bisanzio la costa adriatica, compresa la capitale Ravenna, e tutto il territorio a sud della Toscana eccezion fatta per i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento. Liutprando seppe cogliere il momento propizio quando nei territori italiani governati dai bizantini si diffuse lo sdegno per l'appoggio dell'Imperatore all'eresia iconoclasta. La sua campagna militare iniziò da quei territori che dividevano in due la Langobardia, cioè l'area del "ducato romano", ovvero quella circoscrizione territoriale contenente Roma che dipendeva dall'Impero. Il papa infatti, vescovo di Roma, grazie al "primato" morale conferitogli dal "primato" di San Pietro (e ribadito nei concili) era ormai a capo di un'organizzazione ecclesiastica alla quale si erano già sottomessi il regno dei franchi, i visigoti di Spagna, i burgundi, gli anglo-sassoni di Inghilterra e gli stessi Longobardi, ma non aveva alcun potere politico su alcun territorio.

Quando il papa capì le intenzioni dei Longobardi - i quali erano probabilmente intenzionati a conquistare la stessa Roma - si sentì minacciato, in quanto era preferibile l'autorità di un imperatore eretico ma lontano, piuttosto che quella di un energico sovrano vicino. Nel 728 quindi Liutprando conquistò la città di Sutri (nell'alto Lazio) ed il suo castello togliendola alle milizie bizantine. Papa Gregorio II chiese ed ottenne, con molto sforzo, di rinunciare ai territori già conquistati.

Liutprando, invece di rinunciare a favore dei Bizantini (ai quali, secondo diritto, dovevano essere restituiti in quanto legittimi possessori) donò ai «beatissimi apostoli Pietro e Paolo» solo il castello di Sutri. La donazione aveva ad oggetto la donazione alla Chiesa di Roma oltre che di Sutri, di altri castelli laziali (Bomarzo, Orte e Amelia).

Nel 739 il successore papa Gregorio III indirizzò una lettera a Carlo Martello, maestro di palazzo dei franchi, in cui comparve per la prima volta la locuzione populus peculiaris beati Petri, riferita alle popolazioni del Ducato Romano, del Ravennate e della Pentapoli (un’area fra la Romagna e le Marche, comprendente le cinque città di Rimini, Fano, Pesaro, Senigallia e Ancona), che vivono insieme in una respublica di cui san Pietro è il protettore e l’eroe eponimo.

Nel 742 re Liutprando aveva restituito al Pontefice (papa Zaccaria) per donationis titulo quattro città da lui occupate (tra cui Vetralla, Palestrina, Ninfa e Norma) e una parte dei patrimoni della Chiesa in Sabina, sottratti dai duchi di Spoleto (longobardi) oltre trent'anni prima. Liutprando dal canto suo, aveva temporaneamente sfumato le tensioni con gli altri ducati longobardi, soprattutto con i ducati periferici - e quindi più autonomi - di Spoleto e Benevento, evitando così una guerra civile.

Il primo vero atto formale per l'istituzione delle Terre di San Pietro è dunque costituito dalla Donazione di Sutri. La storiografia contemporanea ha ridimensionato ruolo della donazione, non essendo più considerato l'atto formale della nascita del potere temporale papale; ma rispetto alle molteplici donazioni avvenute anche prima del 728 a favore della Chiesa romana, va sottolineato che la donazione di Sutri acquista un notevole valore simbolico, dato che segna il riconoscimento di una sovranità che fino ad allora il papato esercitava de facto sui territori romani, legalmente appartenenti al governatore bizantino.

La donazione di Pipino

Con l'ascesa di Astolfo al titolo di Re d'Italia e dei Longobardi i germani ripresero una politica espansionistica ai danni dei "romani" (intesi come la somma di latini e bizantini). Nel 751 Astolfo conquistò l'Istria e Ravenna insediandosi nella sede dell'esarcato e acquisendo i titoli palatini connessi. Le minacce di re Astolfo raggiunsero anche Roma: egli pretese infatti dal papa Stefano II il pagamento dei tributi per le donazioni ricevute dai suoi predecessori, e qualche anno più tardi arrivò a conquistare Ceccano, in Ciociaria. Stefano II chiese allora l'intervento dei Franchi di Pipino il Breve. Benché Astolfo ebbe assediato poi più volte Roma, fu sconfitto dalla calata del sovrano d'oltralpe che lo costrinse a pagare un tributo al regno dei Franchi e a cedere sotto la sovranità del pontefice l'Esarcato di Ravenna, la Pentapoli e Perugia. Nacque così il Patrimonium Sancti Petri come stato sovrano autonomo, con quel nome che fino ad allora aveva indicato i latifondi gestiti dal vescovo di Roma, in contrapposizione al patrimonium publicum gestito dai militari (duces e magister militum) e ai latifondi dell'arcidiocesi di Ravenna e di Milano. Tutti i poteri dell'Esarcato, della Pentapoli e del cosiddetto corridoio bizantino che si contrapponevano giuridicamente alle proprietà della diocesi di Roma furono così subordinati direttamente al pontefice, senza più la mediazione imperiale di Costantinopoli. Allo stesso tempo, i territori del nord Italia in mano ai longobardi furono definitivamente separati da quelli del centro-sud (756).  

La Donazione di Costantino

Il documento pretende di riprodurre un editto emesso dall'imperatore romano Costantino I e risalente al 313. Con esso, l'imperatore concederebbe al papa Silvestro I e ai suoi successori il primato sui cinque patriarcati (Roma, Costantinopoli, Alessandria d'Egitto, Antiochia e Gerusalemme) e attribuirebbe ai pontefici le insegne imperiali e la sovranità temporale su Roma, l'Italia e l'intero Impero Romano d'Occidente. L'editto confermerebbe inoltre la donazione di proprietà immobiliari estese fino in Oriente e costituirebbe atto di donazione a Silvestro in persona del palazzo Lateranense. Seguendo ancora la versione di alcune leggendarie Vite di San Silvestro, il documento presenta la donazione come una ricompensa al papa per aver guarito l'imperatore dalla lebbra con un miracolo, allorché i sacerdoti pagani avrebbero invece proposto a quest'ultimo di immergersi in una fontana ricolma di sangue di infanti.

Venne utilizzata dalla Chiesa nel medioevo per avvalorare i propri diritti sui vasti possedimenti territoriali in Occidente e per legittimare le proprie mire di carattere temporale ed universalistico. Dopo l'età carolingia la donazione fu riesumata da papa Leone IX nel 1053, e fu dunque introdotta, nel XII secolo, nel Decretum Gratiani e in altre raccolte di Decretali dalle mani di interpolatori. Essa fu d'altronde considerata un documento di tutto rispetto dagli stessi avversari del potere temporale dei pontefici.

Papa Alessandro VI fece riferimento alla Donazione per giustificare il suo intervento nella disputa tra Spagna e Portogallo sul dominio del Nuovo Mondo, concretizzatosi nell'emissione della bolla papale Inter Caetera nel 1493. La supposta donazione di Costantino includeva infatti le isole della 'parte occidentale' dell'Impero Romano e all'epoca dell'emissione della bolla non era certo ancora noto che i nuovi territori, frutto di recentissime scoperte, si sarebbero rivelati essere un nuovo continente; sicché l'intero oceano Atlantico, con le nuove 'isole', vi era considerato parte dell'antica metà.

Nel 1440 l'umanista italiano Lorenzo Valla, sulla scia delle pesanti perplessità già espresse pochi anni addietro dal filosofo Nicola Cusano, dimostrò in modo inequivocabile come la donazione fosse un falso. Lo fece in un approfondito, sebbene tumultuoso studio storico e linguistico del documento, mettendo in evidenza anacronismi e contraddizioni di contenuto e forma: in particolare, ad esempio, egli contestava la presenza di numerosi barbarismi nel latino, dunque necessariamente assai più tardo di quello utilizzato nel IV secolo. Altri errori, come la menzione di Costantinopoli, allora non ancora fondata, o di parole come feudo, erano addirittura più banali. Tuttavia l'opuscolo del Valla, De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio (Discorso sulla donazione di Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica), poté essere pubblicato solo nel 1517 ed in ambiente protestante, mentre la Chiesa cattolica difese ancora per secoli la tesi dell'originalità del documento.